mercoledì 6 aprile 2011

JONATHAN FRANZEN - LIBERTA' -


Libertà è un capolavoro del romanzo americano. Non si limita a raccontarci una storia avvincente: la profonda intelligenza morale del suo autore inonda di luce nuova il mondo che crediamo di conoscere.
The New York Times Book Review
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Con Le correzioni, pubblicato negli Stati Uniti una settimana prima dell’undici settembre, Jonathan Franzen aveva già messo d’accordo gran parte di critica e pubblico, ma l’accoglienza riservata a Libertà ha il sapore della consacrazione. «Great American Novelist»: è la didascalia con cui Time accompagna la fotografia di Franzen sulla copertina del 23 agosto. Un riconoscimento, questo, che raramente tocca agli scrittori.
«Se Libertà non è il Grande Romanzo Americano – rincara il Telegraph – onestamente non so cosa possa esserlo. La ragione per celebrarlo non è che fa qualcosa di nuovo, ma che fa qualcosa di antico, qualcosa che si credeva morto, e lo fa alla grande».

Ma Franzen, pur essendo riuscito in quello che da tempo dichiarava come suo intento, tiene a una precisazione: «Del modello ottocentesco uso solo l’esperienza del romanzo che ti porta via da te, il desiderio di tornare a casa per riprenderlo. Ne abbiamo molto bisogno», dice in un’intervista sulvenerdì di Repubblica. E sottolinea: «Il lavoro preparatorio dei miei libri è concentrato sui temi di oggi».
Un lavoro preparatorio che, nel caso di Libertà, è durato nove anni, una gestazione fatta di riflessioni e appunti e studi, di raccolta e orchestrazione, al termine della quale – dice la leggenda – Franzen avrebbe scritto senza interruzioni le seicento pagine del suo nuovo romanzo. I fatti, poi, stanno a dimostrare che forse non è andata proprio così, e che Franzen ha lavorato a lungo di cesello, intervenendo sulla trama e sui personaggi fino al momento della messa in stampa.
Alcuni episodi hanno trasformato l’uscita di Libertà in un evento di costume: il primo reading del libro è stato annullato a causa del furto degli occhiali dell’autore, Obama è stato fotografato mentre inaugurava le sue vacanze con una copia del libro sottobraccio. E poi, naturalmente, il plauso unanime della critica, inclusa Michiko Kakutani, il critico più autorevole del New York Times, che era stata definita da Franzen come «la donna più stupida della città». Ma lei, alcuni anni dopo, non ha avuto problemi a definireLibertà «un esaltante capolavoro», impegnandosi in un lungo elogio alla maestria e all’intelligenza narrativa di Franzen.
La Kakutani non è stata l’unica a mettere da parte orgoglio ed eventuali questioni personali a favore dell’amore per la letteratura di qualità: Oprah Winfrey, nonostante il rifiuto di Franzen di partecipare al suoBook Club con Le correzioni (rifiuto seguito da aspre polemiche), ha rinnovato l’invito. E Franzen, questa volta, ha accettato. Può darsi che, come l’autore confida al venerdì, l’evoluzione della sua prosa – meno caustica, meno concentrata sull’effetto e sul sarcasmo – sia davvero «un resoconto di quello che è successo all’autore… E io, – ha detto Franzen, – non sono più incazzato».
Ciò che è evidente, al di là dei sorrisi o delle critiche che episodi come questi possono strappare, è che Libertà è il grande romanzo di un grande autore.
Jonathan Franzen raccoglie i cocci del Nuovo Sogno Americano, raccontando gli anni Duemila – quelli di Bush, di Enduring Freedom, delle lobby governative, dell'ecologia, dei trust-fund e dei quartieri che cambiano volto – attraverso l’esplorazione dei legami familiari, nostro malgrado (o per fortuna) indissolubili. In balia di un orizzonte su cui si scontrano dovere e desiderio, i personaggi di Franzen combattono una battaglia in cui tutti cercano il proprio posto e inseguono l'illusione di «sentirsi speciali», davvero. In prima linea troviamo Walter e Patty Berglund, con la loro famiglia colta, progressista, rispettosa dell'ambiente, ben inserita e benestante, ma azzoppata da dubbi e incidenti di percorso sempre più difficili da ignorare: la rivolta del figlio Joey – che va a vivere dai rozzi e repubblicanissimi vicini –, l'insoddisfazione di Patty – che da stella del basket universitario si vede tramutata in casalinga con troppo tempo a disposizione per rimuginare sul passato –, i compromessi che Walter si trova ad accettare – condannare una specie di uccellini blu all'estinzione o permettere che un'intera montagna venga sventrata? –,  fino al complesso di inferiorità che un po' tutti nutrono verso il vecchio amico Richard Katz, fascinoso ma volubile musicista rock e terzo vertice di un triangolo rimasto, per anni, soltanto platonico. 
Jonathan Franzen intreccia il presente ai ricordi, il matrimonio alla politica, il desiderio di fuggire alla paura di deludere, e ci consegna all’esperienza di una verità agghiacciante: il raggiungimento del bene implica – sempre – l’attraversamento del male. E la moltiplicazione delle possibilità ha in sé il germe dell’angoscia: «se sono libero di scegliere, allora come devo vivere?»

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