Libertà è un capolavoro del romanzo americano. Non si limita a raccontarci una storia avvincente: la profonda intelligenza morale del suo autore inonda di luce nuova il mondo che crediamo di conoscere.
The New York Times Book Review
***
Con
Le correzioni, pubblicato negli Stati Uniti una settimana prima dell’undici settembre, Jonathan Franzen aveva già messo d’accordo gran parte di critica e pubblico, ma l’accoglienza riservata a
Libertà ha il sapore della consacrazione.
«Great American Novelist»: è la didascalia con cui Time accompagna la fotografia di Franzen sulla copertina del 23 agosto. Un riconoscimento, questo, che raramente tocca agli scrittori.«Se Libertà non è il Grande Romanzo Americano – rincara il
Telegraph – onestamente non so cosa possa esserlo. La ragione per celebrarlo non è che fa qualcosa di nuovo, ma che fa qualcosa di antico, qualcosa che si credeva morto, e lo fa alla grande».
Ma Franzen, pur essendo riuscito in quello che da tempo dichiarava come suo intento, tiene a una precisazione: «Del modello ottocentesco uso solo
l’esperienza del romanzo che ti porta via da te, il desiderio di tornare a casa per riprenderlo. Ne abbiamo molto bisogno», dice in un’intervista sul
venerdì di Repubblica. E sottolinea: «
Il lavoro preparatorio dei miei libri è concentrato sui temi di oggi».
Un lavoro preparatorio che, nel caso di Libertà, è durato nove anni, una gestazione fatta di riflessioni e appunti e studi, di raccolta e orchestrazione, al termine della quale – dice la leggenda – Franzen avrebbe scritto senza interruzioni le seicento pagine del suo nuovo romanzo. I fatti, poi, stanno a dimostrare che forse non è andata proprio così, e che Franzen ha lavorato a lungo di cesello, intervenendo sulla trama e sui personaggi fino al momento della messa in stampa.
Alcuni episodi hanno trasformato l’uscita di
Libertà in un evento di costume: il primo reading del libro è stato annullato a causa del furto degli occhiali dell’autore, Obama è stato fotografato mentre inaugurava le sue vacanze con una copia del libro sottobraccio. E poi, naturalmente,
il plauso unanime della critica, inclusa Michiko Kakutani, il critico più autorevole del New York Times, che era stata definita da Franzen come «la donna più stupida della città». Ma lei, alcuni anni dopo, non ha avuto problemi a definire
Libertà «un esaltante capolavoro», impegnandosi in un
lungo elogio alla maestria e all’intelligenza narrativa di Franzen.
La Kakutani non è stata l’unica a mettere da parte orgoglio ed eventuali questioni personali a favore dell’amore per la letteratura di qualità: Oprah Winfrey, nonostante il rifiuto di Franzen di partecipare al suo
Book Club con
Le correzioni (rifiuto seguito da aspre polemiche), ha rinnovato l’invito. E Franzen, questa volta, ha accettato. Può darsi che, come l’autore confida al
venerdì, l’evoluzione della sua prosa –
meno caustica, meno concentrata sull’effetto e sul sarcasmo – sia davvero «un resoconto di quello che è successo all’autore… E io, – ha detto Franzen, – non sono più incazzato».